sabato 21 gennaio 2012

quelle cose che han sì dolce malìa, che parlano d'amor, di primavere, di sogni e di chimere....

I primi tempi qualcuno era rimasto piuttosto sconcertato che il mio signor Darcy  uscisse con me, sì proprio con la gelida, altezzosa, insipida, strana, complicata e incontentabile C.
E io ho sempre fatto fatica a far capire che  la mia freddezza è solo desiderio di riservatezza, che  quella che viene presa per "puzza sotto il naso" è in realtà solo timidezza, che la mia insipidezza è  amore  e passione per cose diverse, che il fatto che io non abbia mai frequentato il bar del paese  e  mi piacciano invece “quelle cose che han sì dolce malìa, che parlano d'amor, di primavere, di sogni e di chimere, quelle cose che han nome poesia... “ non comporti necessariamente che io sia  antipatica o così chiusa da non poter essere amica.
Incontentabile  lo sono  nel senso che  detesto le cose raffazzonate, stiracchiate, mal fatte per pigrizia e scarso interesse, perchè non piace fermarmi in superficie, perchè  non mi "accontento" del mio piccolo nido  e so che fuori dalla mia finestra c'è un mondo intero che mi piace conoscere, alla ricerca di bellezza di cui far scorta  come riserva  e risorsa per i momenti difficili.
Ma so anche che per riempire gli occhi e il cuore di meraviglie non è necessario andare lontano. 
Mio marito ha colto nel segno lo scorso fine settimana: “ Non ti potrai lamentare  - mi ha detto scherzando  domenica sera  - Questo fine settimana hai fatto spese, hai visto un film e siamo pure andanti fare una passeggiata: che cosa vuoi di più?"
Per la precisione: le spese erano  state in realtà la spesa mensile al supermercato, il film – rigorosamente   in DVD  - è di qualche anno fa e la passeggiata è stata un giro nei boschi dietro casa con la Pulce, alla scoperta di orme, foglie secche e brina.
Ma a me è  bastato: al supermercato mi sono comprata  un bouquet di carciofi e un fiammante mazzo di tulipani; il film, con ago, filo e ricamo in mano, era un lusso che da tempo non mi permettevo; la passeggiata è stata un’occasione per essere famiglia, per ascoltare le chiacchiere della Pulce, per godere - immersa nell’aria fredda e tersa - del paesaggio che ho sotto gli occhi ogni giorno e che sembra sempre identico e invece muta al variare della luce  e della stagione, per recuperare slancio e ricostruire armonia.

E poi mentre il marito si dedicava ai lavori da boscaiolo e la Pulce, con amico al seguito, costruiva per l’ennesima volta la ferrovia, ho cucinato, con calma, una torta salata con i carciofi, ai quali,  forse, assomiglio più di quel che pensavo.

TORTA DI CARCIOFI

Ingredienti

Un rotolo di pasta sfoglia
6-8 carciofi
100 g di prosciutto cotto
150 g di fontina
6 uova (oppure 3 uova e 250 grammi di ricotta)
100 grammi di grana grattuggiato
olio
sale
aglio


Procedimento
Pulire i carciofi togliendo le foglie più dure e la parte con le spine; tagliarli a metà ed eliminare il fieno interno.
Cuocere i carciofi tagliati a metà o in quarti in una padella ampia con olio e uno spicchio di aglio, bagnandoli con un po' di brodo di dado e salandoli poco.
Nel frattempo tagliare il prosciutto a striscioline e la fontima a cubetti. In una terrina capiente sbattere le uova (la ricetta originaria prevede 6 uova; io per avere comunque volume per il ripieno, riduco  il numero delle uova e aggungo la ricotta), con  grana e un pizzico di sale; unire i cubetti di fontina e le striscioline di ricotta.
Rivestire una teglia rotonda con la carta forno (oppure ungerla e  cospargerla  di pan grattato) e stendervi la pasta sfoglia, facendo in modo da avere un bordo piuttosto alto. Disporre i carciofi cotti (senza l'intingolo di cottura) sulla pasta e versare sopra il ripieno, livellandolo bene. Arrotolare il bordo di pasta.. Cuocere a forno medio per circa un'ora o comunque fino a che il ripieno è ben asciutto.Servire caldo.


Nota a piè di pagina n.1: questa ricetta era uno dei cavalli di battaglia di mia madre che la serviva anche come antipasto o, tagliata a quadretti, tra gli aperitivi (in questo caso è meglio usare una teglia rettangolare).

Nota a piè di pagina n. 2Per amor di verità.... chi mi considera un po’ strana ha ragione: mentre  cucino ascolto musica   e - ahimè  – di solito mi fanno compagnia tragiche eroine d’opera, romantiche sonate o raffinate melodie mozartiane ..... fatevi coraggio ed entrate in cucina lo stesso: se non vi va,  spegniamo e chiacchieriamo!

domenica 8 gennaio 2012

Alba rossa:o vento o giossa

"Alba rossa:o vento o giossa", diceva la mia nonna materna.


E ieri mattina, dopo un'alba così, è arrivato il vento; un vento impetuoso, come piace a me, che, questa volta, più che farmi venire voglia di viaggiare, mi ha tolto ogni dubbio sui lavori della giornata, perchè ha dato il colpo di grazia alle mie decorazioni natalizie: ha scaraventato ai piedi delle scale  il portaombrelli con i rami di sempreverde, volati per il giardino, ha ribaltato il cesto con l'edera, ha sbattacchiato qua e e là la mia bella ghirlanda. E' stata quindi una  giornata dedicata a inscatolare le decorazioni, smontare albero e presepio, a riporre sul ripiano più alto del guardaroba calze delle Befana, strisce e tovaglie natalizie, a cercare (non necessariamente a trovare) un posto per i giochi nuovi della Pulce, anche perchè da lunedì tutto torna i ritmi meno vacazieri ed il rischio sarebbe stato  ritrovarmi alla fine della prossima settimana con un albero che "perde il pelo", con il calendario dell'Avvento ancora appeso in cucina a metà gennaio e con le lanterne sul davanzale delle  finestre del soggiorno ad indicare la strada a chi è già passato.
L'Epifania ha letteralemente spazzato via tutto: quello che avanzato è una piccola scatola di biscotti (ora della fine io riesco a mangiare solo quelli mal riusciti o bruciacchiati) e questo:



Questo è un avanzo di "pupulotto",  il dono che, qui in paese,  i Re Magi portavano una volta ai bambini, insieme a qualche  arancia o mandarino, ai fichi secchi e a qualche  noce.
Ormai nè panettieri nè tantomeno i pasticcieri confezionano i pupulotti  per l'Epifania, anche perchè si tratta di un dolce così sobrio che  non avrebbe grande mercato a fronte di ben più  ricche golosità di questo periodo. Io ho recuperato la tradizione quando è nata la Pulce e così - da qualche anno - la mattina dell'Epifania impasto e confeziono pupulotti per noi di famiglia, per chi è nostro ospite, per i miei nipotini e, siccome in cucina mi faccio prendere dall'entusiasmo, anche per qualche anziana parente che per un attimo ritorna bambina.
Nei tempi più lontani il pupulotto era fatto con la pasta del pane leggermente zuccherata, in tempi meno poveri con pasta frolla appena  lievitata. Io preferisco la versione con pasta frolla perchè gli omini di pasta di pane che ho fatto come esperimento, lievitando sono diventati deformi . In ogni caso, il pupulotto ha un’unica aggiunta decorativa: “l’ugheta nel bombolivo” ovvero...... un chicco di uvetta al posto dell’ombelico.
La ricetta non la scrivo, perchè si tratta di una banalissima pastafrolla  (con 300 g di farina ho ottenuto una decina di pupazzi) con un pizzico abbondante di lievito; lo stampino non esiste, i pupolotti sono ritagliati nella pasta seguendo una sagoma di carta da forno. Ovviamente non va dimenticata l'uvetta (io ho messo anche gli occhi)!
E oggi? in cucina vivrò di rendita; spero, una volta preparata la sacca della Pulce con bavaglie e salviette, svuotata l'ennesima lavatrice, stirato quello che il vento ha rapidamente asciugato, di riuscire a sedermi comodamente in poltrona, per riposare con uno dei libri che mi ha portato Gesù Bambino o con la rivista di ricamo a cui mi ha abbonato la Befana.



Nota a piè di pagina n.1: non credo che sia necessaria la traduzione, comunque "pupulotto" significa pupazzo, bambola; se di una persona si dice che è un pupulotto significa che è un po' imbranato o che non ha personalità; se una ragazza è una "bella pupola"  è bella di sicuro, ma un po'insulsa.

Nota a piè di pagina n. 2: nella famiglia della mia mamma non arrivavano dai Re Magi, ma dalla "strighetta"; io per non far torto a nessuno, accolgo i doni di tutti....

domenica 1 gennaio 2012

Filastrocca di Capodanno

Filastrocca di Capodanno:
fammi gli auguri per tutto l'anno:
voglio un gennaio col sole d'aprile,
un luglio fresco, un marzo gentile;
voglio un giorno senza sera,
voglio un mare senza bufera;
voglio un pane sempre fresco,
sul cipresso il fiore del pesco;
che siano amici il gatto e il cane,
che diano latte le fontane.
Se voglio troppo, non darmi niente,
dammi una faccia allegra solamente. 

Gianni Rodari


Di tutti questi desideri, uno posso  realizzarlo sicuramente: il pane sempre fresco.
Per iniziare l'anno con il profumo più buono al mondo, quello - appunto - del pane appena sfornato - questa mattina  ho impastato il pane che mi fa ricordare le domeniche mattina della mia infanzia e che è veramente parte della tradizione di famiglia perchè viene dal Veneto, terra d'origine dei miei nonni materni, e il bisnonno, fornaio, pare fosse maestro nel preparare lo

SCHISSOTTO

INGREDIENTI
500 grammi di farina bianca
poco più di mezzo bicchiere di acqua "appena morta"
2 grossi pizzichi di sale fino
1 cucchiaio colmo di strutto
2 cucchiai di olio
15 grammi di lievito di birra


PROCEDIMENTO

Disporre la farina a fontana sulla spianatoia o in una larga ciotola e versare al centro il lievito di birra precedentemente stemperato con  l'acqua appena tiepida (appena morta diceva la mia mamma); iniziare ad impastare aggiungendo l'olio, il sale, lo strutto e ancora un po' d'acqua se l'impasto è troppo asciutto. Deve risultare una palla di pasta abbastanza soda che va lavorata  sulla spianatoia a lungo (almeno una ventina di minuti). Mettere la pasta in una ciotola, coperta da un canovaccio, in un posto tiepido e riparato e lasciar lievitare per circa un'ora.
Al termine della lievitazione, quando l'impasto sarà raddoppiato di volume, stenderlo, a mano o con il mattarello, non più alto di un centimetro e posizionarlo sulla teglia coperta di carta da forno.

Con un coltello tracciare sulla superficie delle incisioni incrociate, formando delle losanghe e pungere il centro di ogni losanga con i rebbi di una forchetta e salare leggermente la superficie.
Infornare in forno ben caldo (250°), abbassando poi a 220°. per evitare che si secchi troppo. Quando la superficie è dorata, sfornare e lasciar riposare. Tagliarlo lungo i segni delle losanghe e servire per accompagnare salumi  oppure  lenticchie e cotechino.

nota a piè di pagina n. 1 : il bisnonno diceva che una volta questo pane era basso e schiacciato (da cui il nome) perchè era senza lievito ed era  friabile  perchè le donne di casa lo lavoravano a lungo.

nota a piè di pagina n.2 : la mia mamma lo serviva anche con i "fasoi in poceto", altro classico della tradizione veneta nella quale io però non mi sono ancora cimentata.

nota a piè di pagina n.3: so che le puriste del pane si scandalizzeranno, ma se non ho voglia o tempo per impastare uso la macchina del pane e l'impasto viene perfetto; va però controllata la prima fase dell'impasto per evitare che rimanga troppo asciutto e "sfregugliato" (sbriciolato).

nota a piè di pagina n. 4: peccato che le immagini non possano portare con sè anche il profumo....